Cosa hanno a che fare la Promenade des Anglais a Nizza e la capitale del Rwanda? A Kigali, di qui a qualche giorno(23 febbraio-2 marzo), in occasione della principale corsa a tappe africana si ripeteranno le stesse scene di gioia pura offerte dai sostenitori di Girmay, idolo sportivo dell’Eritrea e di un Continente tutto. Domenica 21 luglio 2024, non è una esagerazione, nella cittadina francese c’erano più bandiere eritree che slovene, mentre “Bini” conquistava la classifica assoluta della maglia verde tra canti e danze di suoi connazionali della Diaspora, arrivati da tante parti d’Europa. È lo spaccato di un coinvolgimento generato da Girmay, ormai proiettato sui palcoscenici delle classiche monumento, ma più in generale uno specchio dell’entusiasmo per le co(r)se ciclistiche che s’irradia con varie gradazioni tra Maghreb e Sud Africa. Non ci sono visioni preconcette sul movimento agonistico a due ruote africano perché sarebbe un po’ stucchevole e sbrigativo parlare di grande potenziale che può essere finalmente messo a frutto, fors’anche un retaggio colonialistico applicato all’agonismo. Poi il turning-point rappresentato dal prossimo Campionato Mondiale proprio in Rwanda è li che ci sprona a vivere in ogni sfumatura l’anteprima della rassegna iridata, interpretata come la grande occasione per sviluppare in maniera strutturata l’attività ciclistica in tutti i Paesi, partendo da un assunto che di teorico non ha nulla: quanto è fondamentale la bicicletta come mezzo di locomozione quotidiana? Si dirà che la Cina non sforna campioni del pedale, vero, ma nelle latitudini attorno all’equatore esiste un inesauribile e naturale slancio verso la pratica ciclistica, come dimostra il ruolo di diffusione del “verbo” esercitato dal centro di Bugesera, dintorni di Kigali, un frequentatissimo e completo bike park rivolto ai bambini della Capitale, che hanno l’occasione di pedalare in sicurezza a fianco degli atleti più grandi, di immedesimarsi in loro, non ultimo di disporre di biciclette performanti fornite nell’ambito di un progetto molto articolato.
Bugesera è un unicum o modello che può replicarsi? Mai dimenticare che il divario competitivo di certe nazioni si misura anche nella possibilità di disporre di un mezzo performante, di competenze tecniche da sviluppare e che quel desiderio forte di guidare una specialissima con il numero dorsale sulla schiena converge innanzitutto nella dimensione dei sogni, intensi ed intonsi. Il paradigma delle due ruote ben si attaglia con il suo carico di simbolismo più forte di tanti artifici retorici alle aspirazioni di un macrocosmo dove il senso della parola fuga evoca anche carestie e guerre. Morale: impossibile tralasciare il contesto di riferimento-del resto lo stesso Rwanda è balzato alle recentissime cronache internazionali per la crisi conflittuale che ha portato all’occupazione di una porzione importante del vicino Congo- osservandone però i cambiamenti socio-economici e misurandoli anche attraverso la diffusione del ciclismo in tutte le sue potenzialità per tanti versi inesplorate. Un anno fa, in una piovosa sera torinese di pieno inverno ciò che non dice un algido ma utilissimo database di risultati e nomi lo testimoniavano in modo inequivocabile le foto sul cellulare di Philippe Colliou, direttore di corsa affezionato anche all’acronimo TDA(Tour de l’Avenir e Tour de l’Ain), immagini ruandesi di folla strabocchevole al passaggio dei corridori. Scene che illustrano il video emozionale creato dagli specialisti di marketing di Visit Rwanda, e ci sta, tanto più per un colosso della promozione turistica accollatosi l’onerosa sponsorizzazione di squadre calcistiche della Premier League inglese e l’organizzazione del gala’ della federazione internazionale di automobilismo. Per un mondiale di ciclismo alle porte un gran premio di F1 all’orizzonte, potenza del management e dell’affermazione d’immagine di una Nazione attraverso lo sport. Tutto vero, ma per l’Africa che pedala Kigali 2025 non ha carattere esogeno del big event importato, anche se quei metri di dislivello sono proibitivi per Girmay c’è la speranza di portare in auge, se non subito, uno scalatore in grado di competere per una GC. Il velocista eritreo, odierno campione, era ancora poco più che adolescente, ma già militava nei ranghi del centro mondiale dell’Uci,quando Adrien Niyonshuti esordiva in maglia Qubeka(una realtà, oggi purtroppo inattiva e che ha intersecato l’Italia). La storia del primo professionista rwandese ha ispirato “Rising from the ashes”(rinascita dalle ceneri), una pellicola che pure ha ricevuto una solenne stroncatura dal New York Times. Niyonshuti perse l’intera famiglia nella guerra genocidaria che ha squassato il Rwanda: nel suo Paese lo ricordano come l’eroico portabandiera ai Giochi Olimpici di Londra. Adrien, oggi direttore sportivo di una squadra continental, seguirà da vicino i nazionali ruandesi al Tour che dal 23 febbraio al 2 marzo richiamerà al via la punta di diamante Eritrea(capace di portare non solo Girmay nel World Tour ma anche Mulubrahan e Tesfatsion), l’Etiopia possibile nuova miniera di talenti, Sud Africa, Angola, alcune compagini continental e il World Cycling Center sotto il cappello dell’Uci. Per molti di questi corridori l’imminente appuntamento fa da spartiacque di una carriera, al cospetto di Israel (il detentore uscente Blackmore ha poi vinto nello stesso 2024 il Tour de l’Avenir)e Total Energies come di quotatissime developement, da Uae Gen X a Lotto o Team Picnic Post NL. Il database di cui sopra sfornerà in tempo reale ordini d’arrivo e le immagini dal Rwanda faranno il giro del mondo attraverso i circuiti internazionali. Intanto, senza velleità onnicomprensive di racconto(per la serie “brevi cenni sull’universo…”), lasciamo che parli l’esperienza diretta, aggiungendo tasselli giornalieri ad un mosaico che si preannuncia variegato ed eclatante, in pieno African Style. Sulla strada.
